Punto di vista | Testo di Jean Musitelli, 6 febbraio 2012 | Traduzione di Giovanni Roggia
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Il 13 e 14 giugno 1991 si tennero a Praga le Assise della Confederazione europea. Questo incontro, destinato a mettere in moto il progetto annunciato da François Mitterrand il 31 dicembre 1989, resta senza seguito. Avendo vissuto in prima linea questo episodio del post-guerra fredda, non posso evitare di pensare che i posteri non siano stati clementi nei confronti di questo grande disegno irrealizzato. « Un’idea lanciata troppo presto », secondo Hubert Védrine1. Il mio proposito non è, in questa sede, di contestare queste opinioni, conformi alla realtà dei fatti, ma di osservare che il loro carattere sommario non rende giustizia né alla pertinenza dell’intuizione mitterrandiana, né all’originalità del metodo che egli proponeva per dare una risposta all’altezza della sfida storica che rappresentava, per l’Europa, l’uscita pacifica dalla Guerra fredda.
Vent’anni dopo
Non ci sarebbero ragioni di ritornare su questo incontro mancato se, vent’anni dopo, l’Europa desse l’immagine di un insieme dinamico. Ma considerando questo grande corpo senza testa che è diventata l’Unione europea, questo insieme fluido senza visione del proprio futuro né coscienza della propria identità, si può pensare che l’architettura ambiziosa immaginata da Mitterrand avrebbe forse risparmiato molti degli errori attuali.
Tutto era cominciato il 31 dicembre 1989, durante il discorso per i tradizionali auguri di fine anno, con qualche frase ben pesata del Presidente della Repubblica : « L’Europa non sarà più quella che abbiamo conosciuto per mezzo secolo. Ieri, dipendente delle due superpotenze, essa sta rientrando, come si rientra a casa propria, nella sua storia e nella sua geografia. (…) O la tendenza all’esplosione, alla frammentazione aumenterà e ritroveremo l’Europa del 1919 (…) oppure l’Europa si costruirà. Essa può farlo in due tappe; prima di tutto grazie alla nostra Comunità di Dodici che deve assolutamente rinforzare le sue strutture. (…) La seconda tappa resta da inventare : a partire dagli accordi di Helsinki, conto di veder nascere negli anni ’90 una Confederazione europea nel vero senso del termine che assocerà tutti gli Stati del nostro continente in una organizzazione comune e permanente di scambi, di pace e di sicurezza. Questo non sarà evidentemente possibile se non dopo l’instaurazione, nei paesi dell’Est, di un pluralismo di partiti, di elezioni libere, di un sistema rappresentativo e della libertà di informazione. (…) I popoli liberati non ci chiedono l’elemosina ma delle ragioni di credere in un regime di libertà e di giustizia ».
Questa dichiarazione colse tutto il mondo alla sprovvista, sia i più vicini al Presidente che i commentatori. Egli non l’aveva esposta a nessuno prima, nemmeno a Roland Dumas. Non aveva consultato nessuno dei suoi partner europei, nemmeno Helmut Kohl. Eppure, essa non aveva nulla di avventato. Per comprenderla, bisogna rifarsi al clima della fine dell’anno 1989, diviso tra entusiasmo e incertezza. Il muro di Berlino, simbolo della divisione dell’Europa in due blocchi ostili, era appena stato abbattuto, il 9 novembre precedente; la questione dell’unificazione della Germania, fino ad allora teorica, acquisiva, senza che nessuno l’avesse previsto, una attualità bruciante. In quelle che siamo soliti definire democrazie popolari, il vento della contestazione e della libertà faceva vacillare i regimi comunisti, sclerotici e detestati. A Mosca, il potere di Gorbatchev, incapace di contenere il corso degli eventi in seno al blocco sovietico, cominciava a smembrarsi. Fossilizzata per quarant’anni dalla guerra fredda, la Storia si rimetteva in marcia sul continente europeo.
Mitterrand sapeva meglio di chiunque altro che lo scenario futuro non era scritto da nessuna parte. Bisognava fare in modo che il processo si svolgesse tenendo conto degli interessi indissociabili della Francia, dell’Europa e della pace. Dopo il benessere della libertà riconquistata, le nazioni dell’Europa centrale e orientale rischiavano di trovarsi orfane, alle prese con innumerevoli difficoltà istituzionali, economiche e sociali. Non esisteva alcuna struttura che potesse favorire il loro ritorno rapido nella famiglia delle democrazie. Era altresì impensabile l’idea di integrarle immediatamente nella Comunità europea dei Dodici – essa stessa impegnata in un processo di approfondimento politico ed economico – così come la possibilità di lasciare senza risposta il loro desiderio di ancorarsi all’Europa libera e prospera. È per superare dall’alto questo dilemma che François Mitterrand « inventa » questo oggetto originale che battezza Confederazione.
Lungi dall’essere – come qualcuno ha sostenuto – una brillante improvvisazione, la dichiarazione densa e forte del discorso di fine anno rientra perfettamente nel pensiero mitterrandiano, nutrito dalla storia tragica del XX secolo. In controtendenza all’euforia rosea che regnava allora, tale dichiarazione riposava su una convinzione e un timore : la convinzione che la divisione dell’Europa in due blocchi era un elemento contingente che sarebbe finito un giorno (da cui la sua esortazione costante a « superare Yalta ») ; il timore che la caduta dell’impero sovietico avrebbe liberato le pulsioni nazionaliste che avevano condotto l’Europa al disastro del 1914 ( « Il nazionalismo, è la guerra », proclamava Mitterrand davanti al Parlamento europeo il 17 gennaio 1995).
Come superare Yalta senza resuscitare i nazionalismi ? Questa era la questione cruciale che solo Mitterrand, in quel momento, aveva posto in questi termini. Una gara di velocità era iniziata tra la consolidazione dell’Europa comunitaria e lo smembramento del blocco comunista. Chi sarà l’architetto dell’Europa di domani? Gli americani, attraverso una NATO trasformata per l’occasione in « Santa Alleanza » politica? Gorbatchev, con il suo progetto di Maison commune (« Casa comune”), ultimo e derisorio tentativo di salvare un residuo di influenza in Europa centrale e orientale? La Germania riunificata che stava per riconquistare potenza e centralità nella Mitteleuropa? Nei precedenti quindici anni, la diplomazia francese aveva assunto un ruolo direttore negli affari europei; ruolo che, in questa fase, rischiava di sfuggirle. Il progetto di Confederazione prendeva senso alla luce di questa serie di domande.
Un’architettura flessibile e pragmatica
Dopo questo annuncio in pompa magna, la gestazione del progetto fu molto laboriosa. Essa occupò tutto l’anno 1990. È anche vero che alcune priorità diplomatiche ugualmente brucianti mobilitavano le cancellerie. Bisognava regolare lo statuto internazionale della Germania per fare in modo che la riunificazione si realizzasse senza intoppi. Tale fu l’oggetto della negoziazione 4+2. Bisognava inoltre mettere un termine definitivo allo scontro tra blocchi. Tale fu l’oggetto del Summit della CSCE 2 previsto a Parigi nel novembre del 1990. A ciò si aggiungeva l’accelerazione del rinforzo comunitario, con la decisione di avviare le conferenze intergovernative che avrebbero condotto al Trattato di Maastricht nel 1991. Malgrado queste scadenze pressanti, Mitterrand non perse di vista il suo progetto. Il primo a cui il Presidente comunicò le proprie idee, a partire dal 4 gennaio 1990, fu Helmut Kohl, venuto a rendergli visita a Latché. Il Cancelliere diede un assenso cautamente favorevole. Egli comprendeva bene l’interesse di disporre di un quadro europeo stabile per facilitare il cammino verso la riunificazione. « È importante », dichiarò, « che tutti i paesi che si democratizzano ad Est dell’Europa possano avere una prospettiva europea. Il concetto di Confederazione che il Presidente della Repubblica ha lanciato vale per questi paesi ». In seguito, Mitterrand coglierà l’occasione in ognuno dei suoi incontri, in particolare con i nuovi dirigenti dei paesi dell’Est, per promuovere il progetto : a Budapest, il 18 gennaio; a Parigi con i polacchi, il 9 marzo; a Praga il 19 marzo con Havel; quest’ultimo accoglie la proposta in maniera incoraggiante. Egli evoca il tema a Mosca, il 25 maggio, approfittando dell’occasione per smarcarsi cordialmente dal progetto di Casa comune di Gorbatchev:
« Quale differenza con la Casa comune? (…) Io, vedo [la Confederazione] a partire da Parigi. Gorbatchev, a partire da Mosca. Quando siamo nella stessa stanza, ci parliamo faccia a faccia, non vediamo lo stesso muro. (…) Questo è lo stato, per il momento, delle visioni sovietiche e delle visioni francesi ». Mitterrand ritorna sull’argomento nel corso di tutti i suoi incontri del periodo. « L’Europa esiste più di quanto essa stessa non sappia. Mi impegno ad accelerare il momento in cui le sue differenti parti, i suoi archi rampanti, si riuniranno per sostenere la stessa volta », dichiara a “Le Monde” il 20 giugno. E, in occasione dell’intervista televisiva del 14 luglio, ricorda di avere « riorientato da cinque anni la diplomazia francese in direzione dei paesi dell’Est ».
Nel corso dei suoi interventi si precisarono, a più riprese, le finalità e la sostanza del progetto. Ai suoi occhi, era impensabile ricucire lo strappo dell’Europa con gli strumenti mutuati dal vecchio ordine, sia che fosse la NATO, come volevano gli americani, sia che fosse la CSCE come suggerivano i tedeschi. Bisognava mettere in piedi una costruzione originale, incentrata sul futuro, che associasse a parità di condizioni e con elasticità le vecchie e le nuove democrazie. La Confederazione sarà al contempo un forum di dialogo politico e un quadro di cooperazione per trattare questioni concrete – come gli scambi economici e culturali, le reti di trasporto e di comunicazione, l’ambiente, l’energia, la circolazione delle persone, gli scambi tra giovani – che potevano essere approfondite efficacemente solo a livello paneuropeo.
Tale Confederazione non era pensata per sostituire le organizzazioni esistenti (il Consiglio d’Europa, l’AELS3 , il programma Eurêka ecc…), che dovevano trovare il loro posto nel quadro di una « teoria degli insiemi ». I dodici membri della Comunità europea erano destinati a costituire il nucleo attivo di questo cerchio allargato. Mitterrand, inoltre, teneva a precisare che le questioni militari e di disarmo non sarebbero state di competenza della nuova istituzione. Esse rimanevano appannaggio della CSCE, che riuniva tutti gli europei con l’aggiunta di Stati Uniti e Canada.
Dopo aver specificato il contenuto, Mitterrand ne precisa il modus operandi. Più che una conferenza diplomatica classica, egli propone di lanciare il progetto tramite delle Assise che riuniscano delle personalità della società civile e del mondo politico, sul modello del Congresso de l’Aia nel 1948, al quale aveva partecipato in giovane età. L’iniziativa aveva il vantaggio di non escludere nessuno e di dare un’immagine dell’Europa riunita, cosa irrealizzabile se si fosse attuata una separazione tra gli Stati democratici e quelli che non lo erano ancora. Secondo aspetto originale : piuttosto che limitarsi ad una iniziativa francese, Mitterrand scelse di farla co-patrocinare da Vaclav Havel, che incarnava allora il vento di rinnovamento che soffiava a Est. È nel corso della sua visita a Praga, il 14 settembre 1990, che il presidente francese fece il suo annuncio : « Desidero vivamente », disse, « che si riuniscano nei mesi a venire le personalità venute da tutti i paesi d’Europa e le associazioni che desiderano partecipare a delle Assise, sul modello di ciò che ho vissuto nel 1948, nove anni prima della firma del Trattato di Roma (…), il primo congresso europeo sotto la presidenza di Winston Churchill e dove abbiamo sognato l’Europa. (…) Agiamo allo stesso modo e se Praga accetta di ricevere queste Assise, ebbene ! Verremo a Praga ».
Questo incontro si inscrive nel contesto di una attività diplomatica eccezionalmente feconda in questo autunno del 1990. Il 3 ottobre, a seguito del trattato 4+2, la Germania era riunificata. In seguito furono firmati i trattati tedesco-sovietico (9 novembre) e tedesco-polacco (14 novembre). Infine, a coronamento di questa sequenza intensa, i 34 capi di Stato europei, riuniti a Parigi dal 19 al 21 novembre per il Summit della CSCE, adottarono la « Carta di Parigi per una nuova Europa » e salutarono « la fine dell’era dello scontro e della divisione ». La guerra fredda era ufficialmente sepolta. La strada era libera per gettare le fondamenta dell’Europa riunificata 4.
La preparazione delle Assise di Praga
Il 21 dicembre 1990, fui incaricato da una lettera di missione del Presidente della Repubblica di preparare le Assise. Il mio alter ego a Praga era Sacha Vondra, consigliere diplomatico di Havel, che divenne successivamente ministro degli Esteri e della Difesa. Installato al Quai d’Orsay 5, in qualità di responsabile incaricato presso Roland Dumas, beneficiavo anche dell’appoggio del segretario di Stato agli Affari europei, Élisabeth Guigou. Ho costituito un piccolo gruppo di giovani diplomatici – incaricati di mobilitare i servizi del Ministero e di animare il lavoro inter-ministeriale – al quale associavo degli esperti esterni, tra cui il geografo Michel Foucher, fine conoscitore delle frontiere reali e simboliche dell’Europa. La preparazione delle Assise implicava di integrare due tipi di missione. La prima, di carattere concettuale e politico, puntava a formalizzare la nozione di Confederazione, in modo da dissipare le approssimazioni e i malintesi. Fu l’obiettivo di un Memorandum, di una decina di pagine, inviato in aprile a tutti i governi europei. Vennero descritti i motivi e le finalità del progetto, il suo inserimento nei dispositivi istituzionali esistenti, la struttura a tre livelli prevista (concertazione politica, decisione operativa, gestione dei progetti) e i cinque settori prioritari di intervento (energia, ambiente, reti di comunicazione, circolazione delle persone e questioni culturali). L’organizzazione materiale delle Assise diede luogo a un esercizio atipico, svolto in totale concerto con i nostri interlocutori cechi. Pertanto, gli ambasciatori francesi e cechi nei 34 paesi interessati furono incaricati di sottoporci congiuntamente una lista di personalità, tra le quali furono scelti i 150 invitati delle Assise. Furono sei mesi di intensa preparazione, scandita da frequenti viaggi tra Parigi e Praga.
Un progetto che disturba
Per il periodo in cui era rimasto allo stadio embrionale, la Confederazione era stata oggetto di un largo consenso. A mano a mano che le Assise prendevano corpo, le voci discordanti cominciavano a farsi sentire. François Mitterrand era il primo ad essere cosciente della difficoltà della missione. Ricevendo il presidente Havel a Parigi, il 23 marzo 1991, tre mesi prima delle Assise, gli aveva detto : « Ogni volta che parlo di questa questione ai miei interlocutori, essi sono entusiasti per i primi cinque minuti e fermamente contrari nel giro di un quarto d’ora, perché è un progetto che disturba tutti : coloro che voglio la Comunità e nient’altro che la Comunità. Coloro che non vogliono che l’Europa esista, che desiderano che questa resti un continente dipendente 6 ». Disturbava non poca parte del mondo, in effetti. Gli Stati Uniti, in primo luogo, che privilegiavano uno scenario che preservava la loro tutela sull’Europa. Il segretario di Stato americano, James Baker, propone una « dottrina » pensata per essere applicata da Vancouver a Vladivostock. Essi si impegnavano a minare l’idea della Confederazione, suggerendo ai dirigenti dell’Europa centrale che Mitterrand stava offrendo loro una istituzione al ribasso, al fine di ritardare la loro integrazione nella Comunità. L’argomentazione era convincente, in quanto questi paesi vivevano allora nell’illusione che il ritorno della democrazia politica avrebbe aperto loro, rapidamente e senza dolore, le porte della Comunità.
Sin dalla mia prima visita di lavoro a Praga, il 25 gennaio 1991, avevo avuto l’impressione che, se i responsabili cechi erano entusiasti di partecipare a un esercizio di questa ampiezza, essi si interrogavano « sulle relazioni future [della Confederazione] con gli Stati Uniti, sul posto che occuperà l’URSS e sulla sua articolazione con la Comunità 7.
Alle preoccupazioni ceche facevano eco le reticenze tedesche. Esse si espressero in maniera velata ma decisa durante un incontro organizzato a Weimar, il 16 e 17 maggio, tra gli ambasciatori tedeschi e francesi in Europa dell’Est, sotto la presidenza dei ministri Genscher e Dumas. Pur manifestando il loro accordo sulla necessità di costruire un’architettura per l’insieme dell’Europa, in modo da evitare di isolare l’URSS, i tedeschi minimizzavano la portata della Confederazione sostenendo che le istituzioni esistenti, Comunità e CSCE in primo luogo, fossero sufficienti ad affrontare la sfida. Essi vedevano nella Confederazione una forma di svincolamento transatlantico e l’avrebbero volentieri relegata ad un ruolo subalterno di agenzia economica della CSCE. All’intento di non dispiacere Washington si aggiungeva il fatto che Bonn non vedeva di buon occhio l’idea che la Francia manovrasse, in compagnia della Cecoslovacchia, in Europa centrale. L’entusiasmo non era maggiore nemmeno agli incontri a livello comunitario. Il presidente della Commissione Jacques Delors, esitante in un primo momento poiché sensibile al rischio di diluzione derivante da un allargamento precipitoso, dichiara in seguito di essere d’accordo con l’idea. Pascal Lamy, il suo direttore di gabinetto (che avevo incontrato a Bruxelles l’8 maggio) mi spiegò che la sua posizione l’aveva portato ad essere redarguito dagli altri commissari, che temevano l’apparizione di una struttura concorrente, sospettata altresì di antiamericanismo.
Le Assise : succès d’estime 8, scacco politico
Per la prima volta, 150 personalità della società civile, uomini d’affari, intellettuali, scienziati, politici, giuristi, di tutti i paesi europei, ma anche partecipanti americani, canadesi e giapponesi, si ritrovarono a Praga dal 13 al 15 giugno 1991. Essi poterono dibattere in tutta libertà, senza protocollo, dei modi di rinnovare i legami rotti tra le due metà separate dell’Europa e di gettare le fondamenta di una nuova organizzazione continentale. Cinque commissioni si confrontarono su dei temi scelti sulla base del loro carattere al contempo concreto e strategico. François Mitterrand lanciò, nel suo discorso di chiusura, un vibrante appello ad « abolire la distanza fisica e psicologica creata da un mezzo secolo di separazione ». La ricchezza dei dibattiti e l’interesse delle raccomandazioni emesse dalle commissioni 9 valsero alle Assise un vero succès d’estime. I media, fino ad allora scettici, modificarono il loro giudizio. “Le Monde”, che aveva schernito un « inoffensivo colloquio » e « una assemblea eteroclita » ammise, all’indomani delle Assise, che « qualche cosa era nata a Praga ».
Malgrado l’alto livello dell’esercizio, le Assise non risposero alle nostre attese. Certo, esse avevano costituito una cassa di risonanza e un banco di prova dell’idea di Confederazione. Ma Mitterrand, poco avveduto, alla vigilia dell’apertura, aveva spiazzato tutti dichiarando che sarebbero potute passare « decine di anni » prima che i paesi dell’Est entrassero nella Comunità. Egli, in fondo, aveva ragione, ma non era affatto astuto proclamarlo. In quelle circostanze, infatti, venivano avvalorati i sospetti che la Francia stesse cercando di differire indefinitamente l’adesione dei paesi dell’Europa centro-orientale. Certo, Havel riconobbe la validità del progetto e la necessità di un nucleo di istituzionalizzazione, ma parlò più lungamente di ciò che la Confederazione non doveva fare (occuparsi di sicurezza, distendere il legame transatlantico, competere con le istituzioni esistenti, frenare la marcia delle nuove democrazie verso la Comunità) che del ruolo che questa poteva giocare. Egli fu ancora più esplicito durante la conferenza stampa, dichiarando che poteva « difficilmente immaginare questo progetto senza il concorso degli Stati Uniti e del Canada ». Egli vi scorgeva una soluzione a lungo termine, mentre Mitterrand l’aveva immaginato come uno strumento appropriato per gestire la transizione aperta dalla scomparsa della cortina di ferro.
Ciononostante, non tutto sembrava perso all’indomani delle Assise. L’obiettivo era di capitalizzare i risultati creando una struttura leggera di sorveglianza con base a Praga, formula che Havel aveva, in un primo tempo, avallato, e costruire una lista di progetti prioritari che portassero il marchio della Confederazione. Insomma, partire da aspetti concreti per rilanciare la dinamica, secondo il metodo di Jean Monnet. Questo programma, volontariamente pragmatico, restò lettera morta, segnando lo scacco politico della Confederazione. Bisogna dire che, in qualche mese, il contesto era cambiato. Meno di due anni dopo la caduta del Muro, le illusioni liriche fecero posto a gravi tensioni. La crisi jugoslava infiammò i Balcani, confermando l’intuizione di Mitterrand che, se non si fosse apportata una risposta globale ai problemi del post-comunismo, il nazionalismo avrebbe rischiato di guadagnare terreno. A Mosca, lo scenario di una stabilizzazione, se non di una democratizzazione, era cessato con il putsch del 15 agosto contro Gorbatchev. Sarebbero seguite la disgregazione rapida dell’Unione sovietica e l’allontanamento di colui che aveva portato lo spirito di riforma e accolto con favore il progetto di Confederazione. I Dodici, da parte loro, diedero priorità all’approfondimento della Comunità ed alla preparazione del Trattato di Maastricht, in modo da ancorare la Germania unificata nella nuova Unione. L’attenzione per i paesi dell’Europa centrale e orientale e il dibattito sull’architettura paneuropea furono relegati in secondo piano.
***
In questa vicenda, Mitterrand non ebbe che il torto di avere ragione troppo presto. La sua lungimiranza si scontrò con l’unione di conservatorismo (quello degli americani, prioritariamente attaccati al mantenimento della loro influenza in Europa) e impazienza (quella dei paesi dell’Europa dell’Est, desiderosi di salire sul treno comunitario). Questo accadeva troppo presto per l’Europa dei Dodici, rimasta insoluta prima di aver completato il processo di consolidamento necessario a dirigere la riunificazione tedesca. Troppo presto per le vecchie democrazie popolari che, avendo subito per quarant’anni il giogo sovietico, vedevano nell’URSS, anche se indebolita, una minaccia persistente. Solo più tardi molti di coloro che avevano accolto con scetticismo l’iniziativa di Mitterrand ne compresero la validità e la portata. Resta che, in questo periodo cruciale tra il 1989 e il 1991 in cui l’Europa ridiscuteva il suo destino, egli fu il solo a mettere sul tavolo una proposta al contempo innovativa e pragmatica. Egli non demorse e ritornò alla carica a più riprese, non senza veemenza. Così, al Summit del Consiglio d’Europa, l’8 ottobre 1993 : « Noi parliamo tutti di Europa, ma io, non vedo che delle frazioni di Europa, dei pezzi di Europa, e non sono sicuro che essi si riuniscano. Per molto tempo, ho pensato che sarebbe servito creare una Confederazione di Stati democratici d’Europa : lo penso tuttora ». Egli amava anche dire che « la geopolitica dell’Europa ha bisogno di une teoria degli insiemi ». Questa teoria degli insiemi, l’Europa la ricerca ancora oggi come la pietra filosofale che assicurerà al contempo, e durevolmente, la sua coesione interna e una relazione costruttiva con i suoi margini.
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Jean Musitelli è l’ex consigliere diplomatico e portavoce di François Mitterrand alla Presidenza della Repubblica. Il presente articolo è estratto dal numero 82 della « Revue internationale et stratégique » de l’Institut de relations internationales et stratégiques [Rivista internazionale e strategica dell’Istituto di relazioni internazionali e strategiche].
- Hubert Védrine, Les mondes de François Mitterrand, Paris, Fayard, 1996, p. 448.]]. « Un grande malinteso tra Parigi e Praga » per Jacques Rupnik[[Samy Cohen (sous la dir.), Mitterrand et la sortie de la Guerre froide, Paris, PUF, 1998, p. 204.]]. « Un progetto nato morto », dalle parole di Roland Dumas, allora ministro degli Affari esteri[[Roland Dumas, « Un projet mort-né : la Confédération européenne », Politique étrangère, 3/2001.]]. « Uno scacco », « una occasione persa », secondo Frédéric Bozo, primo storico ad aver trattato l’argomento in maniera solidamente documentata[[Frédéric Bozo, Mitterrand, la fin de la guerre froide et l’unification allemande, Paris, Odile Jacob, 2005, p. 344-361.
- Confederazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (attualmente “OSCE”, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).
- Associazione Europea Di Libero Scambio, “AELE” nel testo originale.]] , la BERS[[Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, “BERD” nel testo originale.
- Hubert Védrine et Jean Musitelli, « Les changements des années 1989-1990 et l’Europe de la prochaine décennie », Politique étrangère, 1/1991.
- Sede del Ministero degli Affari Esteri francese.
- Pranzo Mitterrand-Havel al palazzo dell’Eliseo, 23 marzo 1991, archivi dell’autore.
- Ministero degli Affari esteri, nota per il ministro di Stato, Assise della confederazione europea, 28 gennaio 1991.]] ». Queste riserve si concretizzano quando, il 23 marzo, Mitterrand riceve Havel per procedere agli aggiustamenti politici in vista delle Assise. Ricordando che, per la Cecoslovacchia, « il pilastro più solido per il futuro era la Comunità di cui essa voleva diventare membro a tutti gli effetti », Havel mise in guardia sul rischio che i lavori preparatori della Confederazione fossero percepiti come un freno alle cooperazioni esistenti con le altre istituzioni europee. Egli ricordò l’importanza della CSCE e della NATO per la sicurezza del suo paese nel momento in cui il Patto di Varsavia era in fase di scioglimento. Infine, egli suggerì di invitare delle personalità americane alle Assise, proposta che Mitterrand avallò [[Tra le personalità americane invitate alle Assise figuravano il politologo Stanley Hoffman e i diplomatici Madeleine Albright e Robert Blackwill.
- Termine che indica un grande numero di apprezzamenti, un successo a livello teorico e di stima.
- La lista dei partecipanti, i rapporti delle sei commissioni e i discorsi dei due presidenti sono stati pubblicati nell’opera “Prague 1991 Assises de la Confédération européenne, La Tour d’Aigues, Éditions de l’Aube, 1991.”
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