Punto di vista | di Antonio Varsori, 22 dicembre 2004 | Traduzione di Giovanni Roggia
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Antonio Varsori, professore all’Università di Padova, specialista di storia delle relazioni internazionali italiane e della costruzione europea, si è dedicato a un esercizio complesso: descrivere come l’opinione pubblica italiana del suo paese abbia percepito l’azione politica del Presidente francese.
Non è facile esprimere in qualche pagina l’atteggiamento tenuto dall’opinione pubblica italiana nei confronti di François Mitterrand. Perché? In primo luogo a causa della sua lunga carriera politica, marcata da cambiamenti, alle volte radicali, che ne sottolineano le molteplici sfaccettature. In secondo luogo, in quanto è difficile dare una definizione realmente soddisfacente del termine “opinione pubblica”.
Se è evidente che, dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno ampiamente condizionato le relazioni internazionali dell’Italia, è anche vero che, nel contesto europeo, la Francia è stata un suo partner politico fondamentale, un riferimento sul piano culturale e uno dei pilastri delle sue relazioni economiche.
Una personalità politica del livello di François Mitterrand non poteva quindi evitare di attirare l’attenzione dei dirigenti politici italiani, né l’opinione pubblica italiana poteva ignorarlo.
Unità della sinistra.
L’uomo politico francese inizia a suscitare interesse negli anni Sessanta a causa della sua opposizione al Generale de Gaulle e, negli anni Settanta, per la sua azione a capo del Partito Socialista francese – in particolare per il suo avvicinamento al PCF [Partito Comunista francese]. La sinistra italiana fu in effetti molto sensibile a questo orientamento, che rappresentava una dimostrazione interessante dell’unità della sinistra, sia per il PCI che per il Partito Socialista italiano. Il segretario del PSI Bettino Craxi, arrivato a capo del partito nel 1976, sembrava sedotto dalla capacità di François Mitterrand di rigenerare la vecchia SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia) tramite la conclusione di una alleanza elettorale e programmatica con i comunisti francesi, a maggior ragione perché questa alleanza si faceva sulla base di un obiettivo: fare dei Socialisti i partner di maggioranza.
E, di fatto, restaurare il primato dei Socialisti sul PCI diventa uno degli obiettivi prioritari di Craxi, seguendo la stessa procedura messa in atto in Francia.
Tuttavia, ad attrarre realmente l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sono la campagna elettorale del 1981, la vittoria della sinistra unita e l’arrivo di François Mitterrand all’Eliseo. Anche in questo caso bisogna essere precisi: gli ambienti conservatori e quelli progressisti non avevano lo stesso punto di vista. Per i primi, questa vittoria poneva il problema del ritorno al governo di un Partito Comunista francese considerato come particolarmente rigido e totalmente allineato alle posizioni di Mosca.
Pressioni neo-liberali.
Ci si interrogava anche sugli orientamenti di politica interna, in particolare sulle grandi linee economiche e sociali che sembravano in contraddizione con le pressioni neo-liberali sempre più forti registrate nei paesi occidentali dall’inizio degli anni Ottanta, espresse dagli orientamenti politici di Margaret Thatcher e Ronald Reagan.
All’interno della sinistra italiana, si pensava che la scelta degli elettori francesi fosse di buon augurio e confermasse la strategia di Craxi, che puntava a mettere il PSI al centro della vita politica della penisola.
Per un momento, si accarezzò anche l’obiettivo di una supremazia socialista in alcuni grandi paesi dell’Europa occidentale, soprattutto quando Bettino Craxi arrivò a capo del governo italiano nel 1983. Se aggiungiamo a questo il successo quasi simultaneo di Felipe Gonzalez in Spagna e gli orientamenti “moderati” assunti da François Mitterrand nel 1983 – sul piano della politica economica, con il mantenimento del franco nello SME – e poi nel 1984 – con il battesimo del governo Fabius e l’uscita del PCF –, il tema di un ipotetico “socialismo europeo” divenne un argomento di dibattito nel mondo politico italiano e nella stampa.
Certi ambienti del « pentapartito » [NDLR: coalizione governativa di cinque partiti politici italiani che associava la DC, il PSI, il PSDI, il PRI e il PLI, che dominò la vita politica italiana durante gli anni Ottanta] apprezzavano soprattutto la svolta “interna” di Mitterrand nel 1983-1984, oltre che una serie di prese di posizione in politica estera ampiamente condivise: la sua attitudine nei confronti degli avvenimenti in Medio Oriente, le sue critiche alle scelte strategiche dell’URSS, ecc.
Ma è verso la metà degli anni Ottanta, e a proposito della sua politica europea, che François Mitterrand susciterà il massimo interesse nell’opinione pubblica italiana: la rinascita della “coppia franco-tedesca” e il suo ruolo nel processo che condurrà all’Atto Unico e poi al trattato di Maastricht confermano la collocazione a livello europeo del Presidente francese.
In questo periodo, egli fu indubbiamente riconosciuto come il più grande personaggio di un’Europa che contava tuttavia altri prestigiosi dirigenti.
Il ruolo assunto allora da François Mitterrand e la presenza, a capo della Commissione Europea, di un personaggio come Jacques Delors, furono spesso considerati nella penisola italiana come dei veri fattori di orientamento che dovevano contribuire, a partire dalla metà degli anni Ottanta, alla realizzazione di importanti tappe della costruzione europea.
Pregiudizi politici.
D’altra parte, altri elementi contribuivano a focalizzare l’attenzione degli italiani sul personaggio: il suo amore dichiarato per l’Italia e le sue visite regolari nella penisola.
Ciononostante, il Presidente francese non fu esente da critiche, in particolare quelle provenienti dalla stampa: a cominciare dalla presunta assenza di pregiudizi politici. L’opinione pubblica italiana fu sconvolta dal caso del “Rainbow Warrior”. Ricordiamo infine le frequenti polemiche nei confronti del diritto d’asilo accordato da Parigi ad alcuni rappresentanti dell’estrema sinistra italiana rifugiati in Francia ma condannati in Italia per atti di terrorismo. Ciononostante, con il passare del tempo, ed in particolare dopo la sua rielezione all’Eliseo nel 1988 e la sua esperienza di “coabitazione”, l’immagine di François Mitterrand si modificò. Alcuni commentatori evidenziarono che egli stava perdendo la sua personalità di dirigente socialista per adottare quella, più classica, di dirigente “francese”, marcando così una certa continuità con gli altri Presidenti della Quinta Repubblica.
Riunificazione della Germania.
Questo fu particolarmente evidente quando egli confermò l’intenzione di rappresentare la Francia e i suoi interessi tradizionali nel quadro di una visione precisa dell’Europa, in cui l’”esagono” doveva giocare il ruolo di attore principale.
Durante il suo secondo mandato, l’opinione pubblica italiana ebbe quindi un apprezzamento più sfumato. In particolare dopo il 1989, con la caduta del muro di Berlino, la rapida riunificazione tedesca e il personaggio di Kohl che sembrava dominare la “coppia franco-tedesca”, il Presidente francese veniva criticato per le sue supposte reticenze nei confronti della riunificazione della Germania.
Ci si preoccupava anche di alcuni orientamenti a livello europeo, come la decisione – considerata sbagliata – di procedere ad un referendum in occasione della firma del Trattato di Maastricht. Si fece così sentire un presunto “declino” della posizione dominante di François Mitterrand.
Post-guerra fredda.
Tuttavia, l’opinione pubblica mutò ancora una volta. Essa sembrava manifestare una sorta di rispetto preponderante per l’uomo – maggiore, in definitiva, del rispetto per il politico – nella sua lotta contro la grave malattia che aveva contratto.
Bisogna comunque considerare che, al momento della sua scomparsa, in Italia era generalmente riconosciuto che François Mitterrand fosse non solo uno dei più illustri dirigenti francesi, ma anche uno dei principali attori degli avvenimenti europei durante la difficile e delicata fase di transizione dalla guerra fredda al post-guerra fredda – malgrado i suoi limiti, le contraddizioni personali e quelli che apparivano come errori politici.
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